lunedì 3 settembre 2012

Ridurre l’impronta idrica


L’acqua, l’oro blu, risorsa preziosa e non garantita a tutti; in alcune aree del pianeta è causa di guerre e conflitti.
La FAO ha stimato che una persona su sei ha meno di meno di 20 litri d’acqua dolce al giorno, quantità minima per garantire i bisogni primari.
La domanda di acqua aumenta di anno in anno. Gli stili di vita contemporanei, gli spechi, molte produzioni infatti fanno sì che si consumi più acqua delle reali disponibilità del pianeta. Si parla di “impronta idrica”, per indicare tutta l’acqua virtuale contenuta in ciò che acquistiamo: un valore che nasce dalla somma di diverse componenti. Quella più semplice da calcolare è l’impronta idrica “blu”: l’acqua d’irrigazione o quella prelevata dalle falde o dai bacini idrici che non viene re-immessa nel sistema idrico dal quale proviene. Poi c’è la grey water ossia quella quantità di acqua (teoricamente) necessaria ad abbassare il livello d’inquinante che i processi produttivi determinano (per una coltivazione, ad esempio, dipende dalla quantità di fertilizzante utilizzata). La componente più complessa da valutare è la green water – ossia l’acqua piovana evapo-traspirata – tipica della produzione agricola, che dipende dalle condizioni climatiche locali e dal tipo di specie coltivata.
Alcuni esempi: per produrre un pomodoro servono 13 litri di acqua, una fetta di pane 40 litri, 100 grammi di formaggio 500 litri, un hamburger 2400 litri d’acqua
Le scelte alimentari dunque incidono notevolmente sulle risorse di acqua. Il Barilla Nutrition Food Center ha calcolato che la dieta mediterranea ha un minore impatto in termini di consumo di risorse idriche e il consumo d’acqua virtuale giornaliero per alimentarsi può variare da circa 1500-2600 litri, se si sceglie una dieta vegetariana, a circa 4000-5400 litri in caso di una ricca di carne.


Nessun commento:

Posta un commento